“Sei troppo giovane per capire.”, l’adulto al/alla ragazzo/a. “I figli si fanno finché si è giovani.” si replica ad una donna di 40 anni che vuole un figlio. “I vecchi ormai sono solo un peso per lo Stato e le famiglie”. Quante volte ci siamo sentiti rivolgere, o abbiamo sentito rivolgere ad altri, frasi simili a queste. Spesso a metà tra battuta ad effetto, cliché o modi di dire radicati nella nostra lingua. Forse poche volte ci siamo resi conto in maniera cosciente della discriminazione celata dietro queste affermazioni, proprio perché culturalmente e socialmente “accettabili” da non destare alcun sospetto.
In realtà dietro ad esse si nasconde un pregiudizio, molto diffuso ma di cui si parla poco, denominato “ageismo”, così definito dal vocabolario Treccani: Forma di pregiudizio e svalorizzazione ai danni di un individuo, in ragione della sua età; in particolare, forma di pregiudizio e svalorizzazione verso le persone anziane. Con questo termine, quindi, ci si riferisce agli stereotipi (come pensiamo), ai pregiudizi (come ci sentiamo), alle discriminazioni (come agiamo) che abbiamo o mettiamo in atto nei confronti delle persone basandoci esclusivamente sulla loro età. Siamo onesti, a tutti noi è capitato di essere ageisti, solo che non ne siamo consapevoli… come spesso non si è consapevoli del fatto di esserne vittima, perché certe parole ci vengono dette da persone per noi significative (genitori, insegnanti, educatori ecc.) o perché, a furia di sentirsi dire certe cose, finiamo per crederci e ci comportiamo di conseguenza. Quest’ultimo fenomeno si chiama “ageismo autodiretto”, concetto che riprenderò più avanti.
Ma vediamo meglio cos’è l’ageismo, come si manifesta, chi ne è vittima e quali conseguenze ha sul benessere psicologico e sulla salute delle persone.
Quali forme di ageismo?
Il termine “ageism” (ageismo in italiano) è stato introdotto dal medico e psichiatra statunitense Robert Neil Buttler, che lo usa per la prima volta nel 1969. Il tema – tornato di attualità con l’avvento della pandemia (vedi oltre) – esiste da tempo ma risulta difficile individuarlo nel modo in cui comunichiamo. Le parole sono importanti tanto da modellare la nostra società e plasmarne le abitudini, ma quella dell’età è una questione ancora poco affrontata con l’importanza che invece meriterebbe.
L’ageismo può assumere varie forme, può essere:
Istituzionale: si riferisce alle leggi, alle regole, alle norme sociali, alle politiche e alle pratiche delle istituzioni che ingiustamente negano opportunità o che sistematicamente svantaggiano gli individui a causa della loro età;
eterodiretto: si sviluppa nelle interazioni tra due o più persone; è quello che viviamo quando ci sentiamo dire frasi “sei troppo giovane per…”, “sei troppo vecchio per…”;
Autodiretto: si verifica quando è interiorizzato e rivolto contro sé stessi; è quella che potremmo definire “profezia che si autoavvera” la consapevolezza di essere visto in un certo modo dagli altri potrebbe indurre la persona ad adottare l’immagine negativa) e a condurre stili di vita aderenti a quel quadro.
Ageismo e persone anziane.
Per quanto il concetto non si riferisca solo all’ultima parte della vita, ma indichi in generale l’atteggiamento sprezzante e discriminatorio di soggetti appartenenti a una fascia d’età verso soggetti appartenenti a un’altra fascia d’età, è innegabile che le principali vittime di ageismo siano le persone anziane.
Nelle società contemporanee, in cui imperversano il mito della giovinezza e lo stigma della vecchiaia, è intuitivo che l’ageismo finisca per riferirsi soprattutto a chi è in là con gli anni. I vecchi sono considerati lenti, incapaci, inefficienti.
Da un lato, i comportamenti ageisti hanno un’origine emotiva e psicologica: l’ostilità e la ripugnanza verso la vecchiaia deriverebbero dalla paura della nostra stessa mortalità. Dall’altro lato, sono un effetto collaterale dei progressi della medicina, che hanno trasformato in croniche; quindi, caratterizzate da un lento e progressivo declino, patologie che prima erano incurabili; inoltre, tali successi hanno determinato un incremento della multimorbilità, ossia la presenza contemporanea di più patologie nello stesso individuo. A tutto ciò è conseguito un allungamento della vita.
Oltre ad avvalorare stereotipi e pregiudizi, l’ageismo ha delle forti ripercussioni negative sul piano psicologico, comportamentale e fisiologico; quindi, sul benessere psicofisico delle persone che ne sono vittime.
Innanzitutto, additare come fragile qualcuno che non si sente tale, predisponendo per lui misure di tutela e prevenzione ad hoc, può essere recepito come azione paternalistica immotivata, intrusiva e offensiva.
In particolare, l’essere etichettato come “vulnerabile” può, con il passare del tempo, provocare quella vulnerabilità tanto evocata, inducendo nella persona anziana sentimenti di inutilità e frustrazione deleteri per la sua salute fisica e mentale. Si tratta di quello che sopra abbiamo definito “ageismo autodiretto” a cui le persone anziane sono particolarmente esposte.
Se è vero in generale che gli stereotipi vengono interiorizzati dai membri del gruppo stereotipato stesso e hanno una serie di effetti negativi a livello emotivo-motivazionale, cognitivo e funzionale, è altrettanto vero che negli anziani la minaccia rappresentata dagli stereotipi ha effetti ancora più gravi. Essa si manifesta in compiti di memoria ed è stato dimostrato che ciò dipende fortemente da come viene formulata l’istruzione del compito stesso. Nei test fisici l’impatto negativo dello stereotipo sulla prestazione è ancora più evidente: se infatti viene chiesto alla persona anziana di alzarsi dalla sedia senza aiutarsi con le braccia la prestazione sarà peggiore se il compito viene presentato come test di anzianità invece che di equilibrio).
Sarebbe dunque opportuno per il bene di tutti, non solo per quello dei più anziani, promuovere un cambiamento nel modo di concettualizzare l’età avanzata, a partire da una raffigurazione della persona anziana più complessa e realistica.
Le credenze e l’immagine dell’invecchiamento diffuse tramite i media non fanno altro che favorire nella persona anziana un’interiorizzazione della vulnerabilità e fragilità rappresentate, con conseguente demotivazione nel mettersi in gioco, che porta, tra le altre cose, ad un ritiro sociale. Si alimenta così un circolo vizioso per cui maggiore è il ritiro minore è l’esercizio di determinate abilità, con conseguente perdita di esse e conferma dello stereotipo.
Risulta quindi necessario intraprendere una serie di campagne informative sulle tematiche legate al processo dell’invecchiamento, volte a scardinare la visione negativa diffusa sulla vecchiaia, proponendo in aggiunta interventi metacognitivi che permettano di agire sul sistema di credenze individuale.
Ageismo e giovani.
Come abbiamo già detto, le discriminazioni di età però non riguardano solo gli anziani, anagraficamente in avanti con l’età, ma anche i giovani.
Nel mondo del lavoro essi vengono discriminati per la loro poca esperienza e, quando vengono assunti con contratti a termine o con formule come lo stage, spesso ciò viene fatto solo per avere una risorsa a basso costo, non perché si punta sulla loro formazione.
Nel campo della politica e dei movimenti sociali, le cose non vanno meglio: spesso le opinioni dei più giovani vengono ignorate o non prese sul serio perché si ritiene che non abbiano l’esperienza di vita necessaria per affrontare certe tematiche (rischiando di perdere idee e progetti innovativi ed utili che, con il sostegno dei più esperti potrebbero essere realizzati). Basti pensare solo ai giudizi più o meno benevoli, quando non veri e propri insulti, rivolti a Greta Tumberg quando, all’età di 15 anni, ha iniziato il suo personale sciopero contro il riscaldamento globale: quanto tempo ci ha messo perché fosse presa sul serio?
Ageismo e pandemia.
Come accennato sopra, la risposta al controllo della pandemia COVID-19 ha rivelato quanto sia diffuso l’ageismo: gli anziani e i giovani sono stati stereotipati nel discorso pubblico e sui social media.
In particolare, sono stati riportati al centro gli anziani, più vulnerabili agli esiti nefasti del Covid. Uno studio italiano, condotto da Diversity Lab e dall’Università di Pavia, ha evidenziato che da gennaio ad aprile 2020 la copertura mediatica per le 5 aree della diversity (Generazioni, Generi, Disabilità, Etnia, LGBT+) è crollata drasticamente, eccezion fatta per gli over-60.
Il problema però è che il racconto si è concentrato quasi esclusivamente sulla conta dei decessi e sulla questione dell’accesso alle terapie intensive, con riferimenti serrati a numeri, parametri e statistiche. Molto poco si è detto, invece, sulla condizione dei tanti ultrasettantenni isolati e dimenticati.
Questa narrazione non ha fatto altro che alimentare la convinzione del “virus che colpisce solo i vecchi”. Una narrazione rassicurante per i giovani, le persone in buona salute e produttive, ma che si accompagna con l’identificazione della terza età con una fase di declino fisico, cognitivo e sociale.
Questo modo di raccontare la pandemia – concentrando l’attenzione quasi esclusivamente sulla condizione della fascia anziana della popolazione – ha probabilmente generato un certo risentimento nei giovani e nelle categorie sociali più trascurate negli ultimi mesi, acutizzando il gap generazionale. Secondo una ricerca del Censis, oggi in Italia il 49,3% dei millennials (i nati tra il 1980 e il 1995) ritiene giusto dare priorità ai giovani nelle situazioni di emergenza, mentre il 35% è convinto che la quota di spesa pubblica dedicata alla terza età sia troppo ampia.
Il Rapporto globale sull’invecchiamento.
Nel “Rapporto globale sull’invecchiamento” del marzo 2021, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), il Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali (DESA) e l’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR), hanno avvertito che le istituzioni chiave – salute, sistemi sociali e legali – sono influenzate dall’ageismo.
Secondo il Rapporto una persona su due al mondo ha pregiudizi basati sull’età che portano a una peggiore salute fisica e mentale e a una qualità di vita ridotta per le persone anziane, costando alle società miliardi di dollari ogni anno.
Il Rapporto fa un resoconto delle migliori evidenze disponibili sulla natura e l’entità dell’età, le sue determinanti e il suo impatto. Descrive quali strategie funzionano per prevenire e contrastare l’ageismo, identifica le lacune e propone future linee di ricerca per migliorare la comprensione di questo fenomeno sociale.
Il Rapporto illustra inoltre una serie di buone pratiche. Ad esempio, riferisce di un programma portoghese che rappresenta un modello di successo utile per incoraggiare il contatto tra le generazioni: si tratta del Programma Aconchego, avviato nel 2004, che promuove forme di coabitazione tra persone anziane e studenti universitari.
Nel rapporto dell’OMS viene anche approfondito un esempio particolare di ageismo, l’ageismo di genere. Ricerche sull’impatto combinato del sessismo e dell’ageismo hanno evidenziato come le donne anziane siano oggetto di molteplici forme di discriminazioni, in una misura molto più accentuata rispetto agli uomini più anziani e più giovani e alle donne più giovani.
Il Rapporto non si limita a fare una fotografia dell’esistente, ma identifica delle strategie utili a contrastare il fenomeno sociale dell’ageismo. In particolare, ne suggerisce tre:
- l’adozione di scelte politiche e l’emanazione di leggi direttamente mirate a contrastarlo;
- l’inclusione in tutti i gradi di istruzione di interventi educativi che aiutino a sviluppare l’empatia, a dissipare idee sbagliate sui diversi gruppi di età e a ridurre il pregiudizio e la discriminazione fornendo informazioni accurate;
- l’adozione di programmi volti a promuovere i contatti tra le generazioni, che possono ridurre i pregiudizi e smentire gli stereotipi.
Secondo il Rapporto, favorire le relazioni tra le generazioni si è rivelato uno degli interventi più efficaci per contrastare l’ageismo nei confronti delle persone anziane, ma si sta rivelando efficace anche per contrastare quello nei confronti dei più giovani.