“Andare dallo psicologo? Non sono mica matto!” è ancor oggi, a 50 anni dall’attivazione dei primi corsi di laurea in psicologia (i primi percorsi universitari sono stati inaugurati nel 1971 a Padova e Roma) e a più di 30 anni dalla legge di istituzione della professione di psicologo (legge n. 56 del 18 febbraio 1989), questo è il principale pregiudizio che vige nei confronti della figura professionale dello psicologo.
Certo in questi decenni le cose sono un po’ cambiate, ci si è svincolati dall’immagine del lettino dello psicoanalista di freudiana memoria, ma di fatto ancor oggi questo come altri pregiudizi sono ancora molto diffusi, impedendo di fatto lo sfruttamento di una risorsa di straordinaria importanza per il perseguimento ed il mantenimento di uno stato di benessere psicofisico, dell’individuo così come della collettività.
Scopriamo insieme, smontando i miti più frequenti, 8 buoni motivi per andare dallo psicologo… o quanto meno per non scappare a gambe levate al solo sentirlo nominare!
1. Dallo psicologo non ci vanno i matti.
Come già detto, il luogo comune secondo il quale dallo psicologo ci vanno solo i matti, quindi solo coloro che soffrono di una malattia mentale grave è ancora molto diffuso e fa sì che, anche il solo suggerire ad una persona di rivolgersi ad uno psicologo, inneschi pensieri del tipo “Se mi danno questo consiglio significa che sono grave”, “Se ho bisogno dello psicologo vuol dire che sono un malato di mente” e così via. Tutti pensieri che creano ansia ed angoscia, prima ancora che imbarazzo e vergogna, e che provocano un netto rifiuto anche solo a prendere in considerazione quest’eventualità. La malattia mentale è ancor oggi vista come una condanna a vita, un tunnel dal quale non si può uscire, che toglie qualsiasi possibilità di vivere una vita “normale” e quindi il semplice sospetto di esserne affetti genera un terrore paralizzante.
Ma oltre al sentimento intimo della paura di avere una malattia mentale, c’è un altro deterrente molto potente che frena la decisione di rivolgersi ad uno psicologo: il timore dello stigma sociale.
Pensieri del tipo “Come mi giudicherebbero i miei colleghi se sapessero”, “che cosa direbbero gli amici della palestra”, “i miei compagni di scuola mi isolerebbero” possono costituire delle vere e proprie zavorre che impediscono di chiedere aiuto.
Purtroppo, non si riesce ancora a percepire lo psicologo per quel che è in realtà: una risorsa di cui avvalersi in momenti particolari della propria vita per ritrovare un equilibrio e raggiungere uno stato di benessere psicofisico.
2. Non si tradisce la famiglia.
Spesso i primi a giudicare negativamente la scelta di consultare uno psicologo sono i propri familiari…
Il retaggio culturale secondo cui i “panni sporchi” si lavano in famiglia è ancora assai diffuso nonostante viviamo nel terzo millennio. I drammi familiari devono rimanere interni alla famiglia, spesso non si riesce ad accettare che il proprio partner, fratello/sorella, figlio/figlia possa raccontare allo psicologo ciò che accade tra le mura domestiche e, soprattutto, non si può rischiare che egli scopra o trovi conferma del fatto che la responsabilità del suo star male risieda nelle relazioni familiari.
Parlare con lo psicologo della propria famiglia, di ciò che accade in essa e, soprattutto, del fatto che tutto ciò ci fa star male non è un delitto. L’obiettivo non è certo quello di attribuire delle colpe o emettere delle sentenze, ma solo quello di divenire consapevoli di come funziona la propria famiglia, al fine di sapere come intervenire per risolvere i problemi e, quando ciò non è possibile, per imparare a proteggersi ed evitare di essere schiacciati da essi.
Parlare della propria famiglia allo psicologo non è un atto di tradimento nei confronti di coloro con cui si ha un legame di sangue – neanche se si tratta dei propri genitori – e, soprattutto, non significa mettere in discussione l’affetto verso di loro, è solo una via per stare meglio… e non ci si deve sentire in colpa per questo!
3. Non è segno di debolezza.
“Sono un fallito, non sono riuscito a fare da solo, non valgo niente”: questi sono i pensieri che spesso hanno coloro che si rivolgono, o a cui è stato consigliato di rivolgersi, ad uno psicologo.
Il pregiudizio che ha bisogno dello psicologo solo chi è debole è purtroppo ancora molto diffuso. Si pensa che chiedere aiuto sia indice di fragilità e viene vissuto come un fallimento.
La realtà è esattamente l’opposto. Decidere di andare da uno psicologo è segno di forza: infatti per iniziare un lavoro su di sé bisogna essere disposti a mettersi in gioco e a mettere in discussione le proprie certezze.
La psicoterapia è un percorso impegnativo, che implica la capacità di fidarsi ed affidarsi ad un’altra persona. Parlare di sé, esporsi, mostrare le proprie debolezze non è semplice e decidere di farlo per superare le difficoltà è atto di coraggio.
Chiedere aiuto è una delle cose più difficili, ma si può imparare a farlo… traendone grandi benefici!
4. I problemi psicologici sono problemi reali.
Se un problema non ha una ricaduta concreta, visibile e misurabile non è un vero problema…risultato: i problemi psicologici sono dei Non-Problemi!
La conseguenza di questo modo di pensare è quella di chiedere aiuto solo nel momento in cui la psicopatologia (depressione, ansia, attacchi di panico ecc.) è conclamata, quindi solo nel momento in cui sono presenti sintomi fisici e la loro intensità è tale da compromettere il normale svolgimento delle attività quotidiane… ed anche quando si arriva alla richiesta d’aiuto, spesso ci si limita alla semplice cura dei sintomi fisici mediante l’assunzione di farmaci.
Infatti, un altro pregiudizio molto diffuso è che i problemi reali non si risolvono parlando. Si disconosce completamente la funzione curativa della narrazione, che non è il semplice raccontare, ma è l’esternazione del proprio malessere al fine di comprenderne il motivo ed individuare una soluzione.
Lo psicologo facilita questo processo, aiutando a dare un senso a ciò che accade intorno e, soprattutto, dentro a ciascuno di noi.
5. Lo psicologo non è un amico a pagamento.
Anche quando si comprende che parlare può servire a stare meglio la strada che porta allo studio dello psicologo è ancora lunga.
Infatti, si percepisce lo psicologo come un amico a pagamento, una persona che ti ascolta e ti dà dei consigli e non si comprende perché dover pagare per ricevere un consiglio che si può avere da un amico, un familiare o un conoscente.
Il punto è proprio questo: lo psicologo non dà consigli e, soprattutto non è un amico. L’amicizia è una cosa preziosa, ma un amico è spesso troppo coinvolto – proprio perché è un amico e ci vuole bene – per poter avere la giusta distanza.
Lo psicologo non è influenzato dai sentimenti – positivi o negativi – nei confronti delle persone coinvolte nel racconto e non si sente in dovere di compiacere o attaccare l’una o l’altra parte… e ciò gli consente di poter leggere la situazione in maniera più obbiettiva.
Il ruolo dello psicologo – lo vedremo meglio più avanti – è quello di far sentire accolto, compreso e, cosa più importante, non giudicato il proprio paziente/cliente. Una volta fatto questo, sarà proprio quest’ultimo a comprendere ciò che sta vivendo e ad individuare dentro e/o fuori di sé le risorse necessarie per superare il momento di difficoltà.
6. Non si rischia il lavaggio del cervello.
“Lo psicologo potrebbe manipolare la mia mente”: non c’è nulla di più falso!
La funzione dello psicologo non è quella di fare il lavaggio del cervello, l’obiettivo non è inculcare idee o modificare la personalità. Lo scopo della psicoterapia è quello di rendere consapevole il paziente/cliente di come funziona, in modo che comprenda perché reagisce e si comporta in un certo modo e, quando le reazioni ed i comportamenti sono disfunzionali al proprio benessere, sia in grado di correggerli.
7. Lo psicologo comprende e non giudica.
“Nessuno mi può capire”, questo è ciò che pensa chi sta male.
In parte ciò è vero, ci sono delle esperienze che non si possono veramente capire se non si sono provate sulla propria pelle, ma questo non vuole dire che non si possa cogliere la sofferenza di un’altra persona ed aiutarla a venirne fuori.
Lo psicologo è lì per questo. Accogliere il vissuto emotivo del proprio paziente/cliente facendogli sentire che non è solo e che insieme potranno trovare una via d’uscita … il tutto sospendendo qualsiasi giudizio sulla persona, le sue emozioni e la situazione in generale.
8. Lo psicologo aiuta ad evolvere.
Spesso si ha la presunzione di conoscersi fino in fondo e, soprattutto, che pur volendo non si può cambiare. Questi sono pregiudizi che privano dell’opportunità di intraprendere un percorso di conoscenza di se stessi e talvolta mascherano la paura delle persone di scoprire parti di sé poco gradevoli.
Nulla però è immutabile. Con il coraggio e la tenacia è possibile cambiare ciò che non piace di sé e, in ogni caso, si può imparare ad accettare anche i lati della propria personalità che non piacciono, senza negare le parti buone ed apprezzabili.
In questo percorso di conoscenza e crescita personale, lo psicologo è sempre al fianco del proprio paziente/cliente, sostenendolo nei passaggi più difficili e, soprattutto, non lasciandolo mai solo.
Conclusioni.
Abbiamo visto come rovesciando 8 tra i pregiudizi più diffusi sulla figura dello psicologo si possano ottenere altrettanti buoni motivi per iniziare un percorso alla scoperta di se stessi che, non solo consente di affrontare con successo anche le situazioni più ostiche, ma promuove il benessere del corpo e della mente.
Prima di concludere vorrei dedicare qualche parola ad altri due pregiudizi che possono costituire un deterrente anche per le persone più motivate: quelli relativi al costo ed alla durata della psicoterapia.
Fortunatamente oggi è possibile accedere alla risorsa dello psicologo anche gratuitamente o a costi contenuti (consultori familiari, servizi di salute mentale ecc.) … anche se per avvalersi di tali opportunità è essenziale superare un altro pregiudizio: l’idea che tutto ciò che non si paga o si paga poco non sia di qualità.
Riguardo alla durata, la psicoterapia è un vestito cucito su misura: terapeuta e paziente/cliente concorderanno insieme obbiettivi e, conseguentemente, durata della psicoterapia… non esiste una ricetta valida per tutti.
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